A cura di pasquale kovacic
Claustrofobia e agorafobia sono entrambe fobie, incluse tra i disturbi d’ansia.
Esse, sono caratterizzate da una paura estrema e sproporzionata, di fronte a luoghi, situazioni o eventi che non rappresentano un reale pericolo.
Il soggetto riconosce il fatto che la sua paura sia irrazionale, ma essa è percepita come incontrollabile, ed è quindi portato a mettere in atto comportamenti di fuga nei confronti dell’evento fobico.
La claustrofobia è la paura di luoghi chiusi e ristretti e si associa spesso all’evitamento di oggetti o situazioni che creano senso di oppressione e di mancanza di aria.
L’agorafobia, invece è la paura degli spazi aperti e affollati o delle situazioni in cui è difficile scappare o ricevere soccorso; entrambe queste fobie possono nascondere un problema relazionale.
L’attenzione da porre al riguardo è che la sensazione di paura scatenata, può anche essere dettata da situazioni di vita che possono risultare opprimenti al soggetto, a prescindere dal luogo in cui si trova.
La persona con fobia è afflitta continuamente dal dubbio di inseguire la libertà di esplorare, rinunciando alla sicurezza della relazione, con il rischio di trovarsi solo in caso di pericolo; oppure di rinunciare alla libertà, preferendo una protezione rassicurante, la quale può anche essere eccessiva e soffocante.
Secondo le persone con fobia le possibilità sono due e si escludono a vicenda: identificare l’autostima con la libertà e l’indipendenza, abbracciando un immagine di sé che escluda le fragilità; oppure, andare alla ricerca di relazioni affettive molto strette, impostando rapporti di dipendenza.
La prima opzione rimanda alla claustrofobia, la seconda, invece, all’agorafobia.
Il claustrofobico prova paura nelle situazioni che vive come “perdita di libertà”, come per esempio un rapporto troppo stretto o la nascita di un figlio.
L‘agorafobico, al contrario, percepisce come pericolose le situazioni che interpreta come “perdita di protezione”, come per esempio la fine di una relazione d’amore o dover svolgere un lavoro che richiede più responsabilità.
Quindi, da una parte, vi è la scelta dell’indipendenza a discapito di un relazione affettiva intima e che permetta un coinvolgimento emotivo; dall’altra parte, vi è la scelta della protezione e del senso di sicurezza forniti da un legame stretto, rinunciando alla libertà e sperimentando un basso livello di autostima.
La persona che soffre di claustrofobia può avere comunque relazioni sentimentali, a condizione che comportino un basso livello di coinvolgimento.
Tendenzialmente, ha partner poco brillanti, molto dipendenti, che presentano a loro volta una tendenza a un forte coinvolgimento emotivo.
Il claustrofobico, quindi, si ritrova in una posizione di superiorità nella coppia; è egocentrico, poco disponibile e spesso svaluta il partner.
La persona che soffre di agorafobia, invece, tende a cercare relazioni molto strette, dalle quali dipendere, mettendo al primo posto la relazione a discapito della propria autostima.
Sperimenta una continua paura che la relazione finisca e quindi, sottopone la persona e la relazione a continue verifiche.
La persona non si sente realizzata, proprio a causa della mancanza di autonomia e indipendenza.
Tendenzialmente, l’agorafobico ha relazioni molto durature, iniziate spesso in giovane età e con persone “forti” e protettive, alle quali si dedica completamente.
Al contrario del claustrofobico, si trova quindi in posizione di inferiorità all’interno della coppia.
Dunque, la fobia e in particolare i due estremi della claustrofobia e agorafobia, originano da problemi di natura relazionale, che sfociano in modalità disfunzionali di vivere le relazioni.
Nel primo caso, la persona si sente soffocare, paura degli spazi chiusi e ristretti; nel secondo caso, invece, la persona ha paura di rimanere solo e di non essere aiutato da nessuno in caso di pericolo; angosciata dagli spazi aperti e dispersivi, che gli fanno sperimentare mancanza di protezione.
Un lavoro psicoterapeutico potrà permettere di andare oltre questo dilemma tra le due polarità opposte, adottando così un atteggiamento più costruttivo, di mediazione tra i due poli.
Collegando la paura al suo problema relazionale di fondo, si potrà giungere a un rapporto armonico tra bisogni e paure.
Detto questo, non possiamo non approfondire il discorso riguardante il concetto di “fobia”, trattato più in generale e per farlo ci avvarremo sia di una cognizione psicoanalitica che di una cognitiva.
Secondo la psicoanalisi, la fobia si sviluppa a seguito della rimozione dalla propria coscienza di impulsi percepiti come inaccettabili, come per esempio rabbia o desiderio sessuale.
Questi verrebbero negati e successivamente proiettati su un oggetto, per il quale si svilupperà la fobia.
La proiezione del proprio impulso proibito su un oggetto o situazione esterna, permette alla persona di mettere in atto l’evitamento: in quanto, evitando e non avvicinandosi all’oggetto o alla situazione fobica, non entrerà in contatto con i sentimenti e gli impulsi che le scatenano la paura.
In base a questa interpretazione della fobia, quindi, l’oggetto o situazione evitata ha una relazione indiretta con il vero problema della persona; l’oggetto fobico simbolizza tale problema.
Per quanto riguarda la teoria cognitiva, Guidano afferma che la reazione fobica viene manifestata dal soggetto in situazioni che lo espongono alla sensazione di perdita di protezione e/o di libertà.
All’interno della teoria sistemico-relazionale, Ugazio introduce il concetto di “polarità semantiche”, secondo cui la famiglia si organizza e si sviluppa attorno ad alcune polarità, le quali definiscono ciò che è importante per la famiglia e per la definizione di sé e dei suoi membri.
Queste polarità possono essere, per esempio: buono/cattivo; vero/falso; giusto/sbagliato; dare/ricevere.
La teoria sistemico-cognitiva, ritiene che l’aspetto fondamentale per una persona con una fobia è il bisogno di protezione o di libertà.
Queste due polarità, sono vissute come estremi inconciliabili e che si escludono a vicenda.
Tra le due viene data maggiore importanza alla polarità “libertà/autonomia”, la quale è necessaria per lo sviluppo della propria autostima e del senso di competenza.
Sempre secondo Ugazio, la fobia si sviluppa fin dalle prime esperienze infantili con la figura di attaccamento, che, in questi casi, ostacola l’esplorazione del bambino e gli rimanda un’immagine negativa di sé.
L’organizzazione fobica che ne deriva può portare all’insorgere di sintomi in periodo infantile o adolescenziale, a seguito di episodi stressanti riguardo a una delle due polarità.
In conclusione, come spesso capita di notare, i problemi psichici, come quelli trattati in questa tesina, hanno a che fare con malesseri dovuti all’ambiente e allo stile di vita, dove la mancanza di libertà, uno stile di vita malsano e un retaggio culturale manipolatorio, compromettono la stabilità e l’equilibrio mentale delle persone.
Quindi, per quanto si tenda sempre a trovare altre “cause”, o per meglio dire “scuse”, la vera causa è sempre il sistema di vita innaturale e opprimente che siamo costretti a vivere, ed è per questo che l’acquisizione di tutte le consapevolezze al riguardo e una buona dose di aiuto disinteressato, ne forniscono la soluzione.
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