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Consulenza Emozionale → Tesine

La gestione delle emozioni

A cura di pasquale kovacic

Che cos’è una “emozione”?

Definizione di “emozione”: “Stato psichico momentaneo che consiste nella reazione non controllata verso percezioni o rappresentazioni e che ne turbano l’equilibrio”.

Quindi si tratta di qualcosa di “momentaneo”, che turba l’equilibrio psichico e fisico, annullandone la “lucidità” e la possibilità, di riconoscere la differenza tra “azione” e “reazione”.

Analizziamo i concetti di “Azione” e “reazione”.

Definizione di “azione”: “Capacità umana di modificare il reale. Il concretizzarsi della volontà considerato nel suo svolgimento o nella sua conclusione. Forza determinante, capacità di produrre determinati effetti e risultati”.

Si tratta quindi di un qualcosa strettamente legato a ciò che, inderogabilmente, concretizza nel reale, tutto quello che è inizialmente, solo e puro “pensiero” e avviene SEMPRE, nel QUI E ORA, ovvero nel PRESENTE.

Nessuna “azione”, può, né potrà MAI avvenire, nel PASSATO, né tanto meno nel FUTURO.

Una “azione”, che compirò nel futuro, non è un’azione è puro pensiero.

E’ quindi, quel passaggio dalla “teoria” alla “pratica”, che ci consente di ottenere RISULTATI, TANGIBILI e talvolta “definitivi”.

Definizione di “reazione”: “Azione che si contrappone ad altra azione in quanto più o meno direttamente provocata, motivata, determinata da questa; nell’ambito dei rapporti di convivenza si riferisce in particolare al comportamento di una delle due parti”.

In questo caso, le “due parti”, sono entrambe all’interno di noi stessi.

L’etimologia della parola “emozione” è emo-azione; il prefisso “emo”, corrisponde a “sangue”, il suffisso “azione”, corrisponde a “movimento”, quindi, “sangue in movimento”.

Infatti, la “sensazione” che proviamo, durante un’emozione è proprio quella del sangue che scorre più veloce, e la proviamo, perché è proprio ciò che avviene fisicamente; infatti, aumentano le pulsazioni e subisce una variazione, anche il nostro consueto colorito sul viso.

In altre parole, avviene uno “sconvolgimento” sia psichico che fisico, che porta, a seconda del tipo di emozione, “gioia” o “dolore”.

Questa, non è una generalizzazione, perché, in effetti, una emozione, per esempio, di rabbia è sempre una dimostrazione di dolore, un qualcosa che, in condizioni di sanità e quindi di non aberrazione, si preferirebbe non provare.

Le emozioni, a seconda che siano positive o negative, condividono lo stesso punto di partenza; a differenza però, di come potremmo essere portati a pensare, non è la parte destra del cervello, perché è la coscienza che crea la mente e la coscienza non è capace di emozioni negative.

Quindi, per quelle positive, il punto di partenza è la coscienza, mentre per quelle negative è la mente e questa, è la causa della loro intermittenza. ovvero, lo spadroneggiare del “Volador” (Guardare il video “Lo sfidante“), che spegne le nostre emozioni positive, ovvero, la mente che soffoca la coscienza, attraverso i Modelli di realtà.

Questo è anche il motivo per cui le emozioni negative, hanno una durata maggiore di quelle positive, almeno, fino a quando non avremo sconfitto il demone.

Ciò accade, perché non abbiamo la consapevolezza, di ciò che siamo realmente, e pensiamo di essere separati dal TUTTO, ovvero, la convinzione di essere la nostra mente; ne abbiamo una, ma non siamo lei, allo stesso modo, di come il “Volador”, ci fa credere di essere lui, ma noi non siamo lui.

Quindi, non dobbiamo commettere l’errore di “identificarci”, con le nostre emozioni, le proviamo, ma non siamo loro.

Tutto questo, significa che farsi GUIDARE dalle emozioni, non è sempre una cosa positiva.

Quindi dobbiamo imparare a conoscerle, a riconoscerle, a prevenirle e quando si presentano a “gestirle”.

Ma cosa significa gestirle?

Semplicemente, dopo averne riconosciuto l’eventuale natura negativa, evitare che si trasformino d’impulso in AZIONI.

Ogni emozione è quindi uno stato psichico, che genera reazioni fisiche, che si trasformano in azioni concrete.

Le persone dicono sempre, che non possono smettere di comportarsi in determinati modi, perché “è più forte di loro”, questo perché, la nostra parte del cervello chiamata “diencefalo” è una parte “emotiva inconscia”, che non effettua ragionamenti, ma risponde agli stimoli, a livello esclusivamente emotivo.

Quindi, quando ci identifichiamo nelle nostre emozioni, proviamo questa sensazione di impotenza; ma una volta consapevolizzato questo meccanismo, possiamo controllare le AZIONI, gestendo le EMOZIONI.

Il percorso di un’emozione

Chiariamo però un concetto importante: se vedendo un gattino, proveremo un’emozione di tenerezza e l’azione sarà di accarezzarlo, non esiste alcun problema; ma se una persona ci schernisce e noi proveremo un’emozione di rabbia e l’azione sarà di offenderla o addirittura percuoterla, ecco che l’emozione va assolutamente gestita.

Il percorso di un’emozione è: emozione → azione.

Quindi, anche se il concetto di base è che le emozioni turbano il nostro equilibrio psicofisico, quando portano ad azioni positive, verso noi stessi e verso gli altri, possono essere espresse d’impulso.

Di contro, quando portano ad azioni negative, la gestione, deve essere compiuta intervenendo nel processo, tramite l’inserimento di altre due fasi: “trattenimento” e “trasformazione”, tramutandolo in: emozione → trattenimento → trasformazione → azione.

Per quanto riguarda la fase del “trattenimento” è fondamentale precisare, che “trattenere”, non significa, “reprimere”.

Infatti, mentre “reprimere” un’emozione significa “soffocarla” e quindi impedirle di manifestarsi, sia all’interno che all’esterno di noi stessi, “trattenerla”, significa solo “arrestarla momentaneamente”, senza manifestarla esternamente d’impulso, al fine di gestirla.

Una volta gestita la libereremo.

Dobbiamo porre MOLTA attenzione, a non “reprimere” le emozioni, sia quando sono positive che negative, quindi evitare la somatizzazione, in quanto farlo, può, nel tempo, portare a vere e proprie situazioni psichiche di “patologia”.

L’emozione è a tutti gli effetti, un qualcosa che ha un origine, effettua un percorso e procede verso un’uscita, arrivando alla sua destinazione.

E’ come se fosse l’acqua di un rubinetto: improvvisamente, “qualcuno” apre un rubinetto, e l’acqua esce, procede verso i tubi di scarico e poi si riversa dove deve.

Se durante questo processo, dovesse formarsi un “intasamento”, in un qualsiasi punto dei tubi, l’acqua non potrebbe più uscire, e tornando indietro, darebbe luogo a un allagamento.

Le emozioni funzionano nello stesso, identico modo: se noi, una volta manifestatesi, non le “scarichiamo”, con il tempo, ne saremo “inondati”, provocando stati di “dolore” permanenti, anche quando si tratta di emozioni positive, perché, col tempo, non saremo più in grado di provarle e godercele.

Quindi, la “gestione”, non ha nulla a che vedere, con “indifferenza” o “repressione”.

Il pianto

Un concetto fondamentale da evidenziare è che ciò che non dobbiamo MAI fare, è reprimere le lacrime; sia che il pianto si manifesti a causa di emozioni positive che negative, deve assolutamente essere sfogato, SEMPRE, e in maniera totale.

Ma in quali casi si può manifestare il pianto?

Principalmente per due motivi: “gioia” o “dolore”, gli stessi di una qualunque altra emozione, il che ne palesa il forte collegamento.

Nel caso di un pianto di “gioia”, possono verificarsi due differenti situazioni: l’esternazione profondamente sentita della “gioia” stessa, oppure, l’intervento del sentimento della “commozione”, ovvero, quando viene colpita la nostra “sensibilità”.

Questo, può avvenire sia a causa di situazioni “piacevoli” che “spiacevoli”, ovvero, quando assistiamo ad azioni straordinarie sia positive, che negative, o ne veniamo a conoscenza, attuate sia nei nostri confronti, che in quelli di altri; e quindi a sua volta, in due differenti casi: ci possiamo commuovere, davanti a un “film”, sia che il finale sia tragico che lieto, o comunque in generale, davanti alla felicità o alla sofferenza altrui.

Quando però, parliamo della NOSTRA di “sofferenza”, il pianto si manifesta a causa del “dolore”.

Analizziamo il significato di questi due termini.

Definizione di “dolore”: “Sensazione penosa. Stato o motivo di sofferenza spirituale o fisica, provocata da una realtà ineluttabile, ovvero, contro cui non si può lottare, imposto da una tragica e fatale necessità; inesorabile, inevitabile, che colpisce o condiziona duramente il corso della vita”.

Definizione di “sofferenza”: “Condizione tormentosa provocata dall’assiduità del dolore”.

Quindi la “sofferenza” è una conseguenza del “dolore” e mai il contrario.

Ne dobbiamo dedurre, che per porre fine a una sofferenza, dobbiamo prima di tutto eliminare la causa del dolore, e successivamente, provarlo fino in fondo, per poi “lasciarlo andare”, senza mai reprimerlo, altrimenti, causeremo dentro di noi, quell’”intasamento”, che provocherà quell’”allagamento”, che ci condannerà “eternamente “alla “sofferenza”, perché lo porteremo sempre con noi.

Reprimere il pianto, è una delle cose più dannose per la nostra autostima e per la nostra salute mentale in generale; perché significa reprimere il “dolore”, quindi non dobbiamo MAI farlo né con l’uno, né con l’altro.

Se per qualsiasi motivo, dovessimo essere portati a trattenere il pianto, ovvero “gestirlo”, creeremo successivamente, una situazione solitaria dove lo sfogheremo, FINO ALL’ULTIMA LACRIMA.

E sfatiamo il luogo comune, che prevede che il pianto in generale, sia una dimostrazione di debolezza; è una INFINITA dimostrazione di forza, di intelligenza e di autostima.

La trasformazione

Passata questa prima fase di “trattenimento”, la gestione sarà di trasformare, quell’emozione negativa in una positiva, con la conseguente azione.

Si potrebbe vedere, come se raccogliessimo all’interno di un catino, quell’acqua che esce dal rubinetto, per purificarla e poi poterla bere, cambiandone, la funzione e la destinazione, ovvero, elaborare un’emozione nata per fare del male, a noi stessi o agli altri, facendola diventare a fin di bene.

Porgi l’altra guancia? No, non significa assolutamente questo.

Se qualcuno ci offende, non lo inviteremo a ripetere l’azione, però faremo in modo che le sue ingiurie, non ci turbino minimamente, operando tale processo.

Questo, secondo il concetto di “azione/reazione”, dissuaderà quella persona dal perpetuare quel comportamento.

Dobbiamo tenere presenti due cose importanti: il concetto di azione/reazione, è a tutti gli effetti un “loop”, che può sfociare in veri e propri conflitti e fino a quando uno dei due non lo interrompe, il conflitto proseguirà all’infinito.

L’altra cosa da tenere presente, è che ognuno di noi, fino a quando non lo smaschera, è sottoposto alla volontà del “Volador”; noi adesso lo conosciamo, ma magari quella persona non sa ancora della sua esistenza, e sarà portata ad alimentare quel comportamento.

Quindi, il risultato della nostra gestione totale di quella emozione, non solo non nutrirà più il nostro “Volador”, insegnandogli a nutrirsi di emozioni e azioni positive, ma toglierà il nutrimento, a quello dell’altra persona, arrestando il suo comportamento.

Questa, è una situazione che se ci fermiamo un attimo a riflettere, abbiamo vissuto o visto più volte nella nostra vita, ovvero, quando una persona che mantiene la calma, riesce a calmarne anche altre, ottenendone addirittura delle scuse.

Non è un lavoro facile, perché abbiamo a che fare con i nostri modelli di realtà, all’interno dei quali, gli schemi ci possono portare a pensare e ad agire, secondo il fatto che ogni tanto sia “normale”, che possano avvenire litigi.

Questo è solo un modello di realtà e niente altro, e come TUTTI i modelli è lontano dalla verità; infatti, tutte le volte che dovesse accadere, staremo nutrendo nuovamente il nostro “Volador”, con il cibo sbagliato, di cui lui è ghiotto, compromettendo il nostro lavoro, con tutti i risultati ottenuti e la nostra pace interiore.

In altre parole, quello che dobbiamo fare, è mantenere l’equilibrio tra la parte sinistra e la parte destra del nostro cervello, ovvero, tra la nostra “razionalità” e la nostra “emozionalità”, agendo nel PRESENTE, per evitare di emulare i modelli di realtà, sia di uno che dell’altro, ritrovandoci a non essere più capaci di accarezzare un gattino, ma di esserlo nel creare e protrarre conflitti o assumere atteggiamenti di totale indifferenza.

Tutto ciò, può essere visto anche prendendo spunto da come si genera l’elettricità: il polo + e il polo -, da soli non generano niente, ma se connessi, originano qualcosa di equilibrato e molto utile.

Però, nella nostra quotidianità, può capitare di perdere la pazienza, non perché sia “normale”, ma perché gli ambienti in cui viviamo e le persone con cui interagiamo possono provocarlo.

Ecco perché è importante, prima di tutto avere un ottimo rapporto con noi stessi e poi circondarci di persone affini a noi, creando, nel tempo, un ambiente che lo sia altrettanto.

Se in famiglia, abbiamo parenti che litigano spesso e magari se la prendono sempre proprio con noi; se sul posto di lavoro, vige una tensione costante, o semplicemente esistono situazioni che possono toglierci la lucidità, il nostro lavoro su noi stessi, si complicherà, quindi, per riuscire a operare il cambiamento nella nostra vita, ne dovremo prima operare altri, ricordandoci che le opportunità e le possibilità, le abbiamo SEMPRE, perché siamo noi che le creiamo agendo sul PRESENTE.

Un’emozione da poco

Adesso, dobbiamo considerare, un aspetto importante dei nostri modelli di realtà, strettamente legato alle emozioni.

Se nel PASSATO, un nostro familiare o un docente, ci ha ripreso, accusandoci molto spesso di essere, per esempio, degli “incapaci” o dei “buoni a nulla”, questo, negli anni, avrà generato un modello di realtà, all’interno del quale, noi potremo davvero esserne convinti, sia in maniera conscia che inconscia, limitando tutti nostri pensieri e tutte le nostre azioni nel PRESENTE.

Ma questo è solo un modello, non è la realtà; e si è creato, non solo per il ripetersi di tali situazioni e di tali frasi, ma anche e soprattutto, perché gli abbiamo conferito un valore diverso e superiore, rispetto a quello che hanno realmente a causa dell’autorità, o di una fuorviata autorevolezza, che vedevamo in quella persona.

Come possiamo fare a cambiare questo modello, liberandoci definitivamente di quella nostra convinzione che ci limita?

Ecco uno strumento di eccezionale potenza, pratico ed efficiente di gestione delle emozioni, da utilizzare nel tempo, in casi come questo, che ci porterà, appunto, a cambiare DEFINITIVAMENTE quel modello: avete presente le “maschere di carnevale”?

Sceglietene una, quella che più vi piace e “vestite” virtualmente quella determinata persona con quel costume, personalizzando ulteriormente la situazione, con le frasi ricorrenti che vi siete sentiti dire, immaginandola, mentre le pronuncia, con una “vocina” insignificante e facendo “balletti” strani o comunque assumendo un atteggiamento ridicolo.

Ripercorrete mentalmente in questo modo, tutte le volte che nel vostro passato, si è verificata quella situazione, e tutte le volte che riemergerà nei vostri pensieri; e se dovesse essere reiterata anche nel presente, agite nello stesso modo, anche mentre si sta verificando.

Quella situazione, e quelle parole, genereranno in voi, un’emozione totalmente diversa, rispetto a come è sempre accaduto.

Metabolizzerete il tutto diversamente, dando il vero valore a quella persona e a ciò che dice, non proverete più nessun tipo di soggezione, e noterete che sarete divertiti dalla cosa, invece che esserne afflitti.

Questo, non solo sarà un nutrimento straordinario per la vostra autostima, ma sarà il vostro nuovo modello di realtà, che il cervello, prenderà per esempio, tutte le volte che si verificherà, la stessa situazione o una simile, liberandovi definitivamente dal vecchio modello di realtà e dai suoi condizionamenti.

Riflettendo sull’attuazione di questa tecnica, molti di noi, realizzeranno di averla messa in pratica, molte volte nella loro vita, in maniera inconscia; come già detto è un’arma potentissima e con la consapevolezza, diventa addirittura INVINCIBILE.

I sensi di colpa

Diverso è invece il discorso per quanto riguarda i “sensi di colpa”, di cui tutti, purtroppo, siamo vittime, in quanto, sia “oppressi” che “oppressori”, sia nei confronti degli altri, che in quelli di noi stessi.

Questi, possono manifestarsi, in due differenti casi: quando si vuole attribuire la “causa” di un qualcosa a qualcun altro; oppure, quando riconoscendo un nostro errore ci si “condanna” in maniera indulgente.

In entrambi i casi, il processo da compiere è prima di tutto, RICONOSCERE, i nostri comportamenti e quelli degli altri, che fanno manifestare i sensi di colpa, riconoscendo anche lo scopo che si vuole raggiungere con tale espediente, perché si tratta a tutti gli effetti di una MANIPOLAZIONE PSICOLOGICA.

Definizione di “manipolazione psicologica”: “E’ un tipo di influenza sociale, finalizzata a cambiare la percezione o il comportamento degli altri, usando schemi e metodi subdoli e ingannevoli, che possono anche sfociare nell’abuso fisico, oltre che psicologico”.

Ovvero, portare qualcun altro a fare ciò che noi vogliamo che faccia, senza che questi se ne renda conto.

Quindi, una volta RICONOSCIUTO tutto ciò, non solo non permetteremo che accada, ma lo metabolizzeremo correttamente.

Per fare ciò, occorre analizzare la differenza tra “senso”, “sensazione” ed “essere”.

Il termine “senso” può essere inteso secondo diverse accezioni: può rappresentare il “significato” di qualcosa, oppure, una “direzione”, come per esempio il “senso di marcia”, oppure, una “percezione” sensoriale.

Nel nostro caso, “senso” e “sensazione” possono sembrare a tutti gli effetti sinonimi, in quanto, hanno una caratteristica in comune, ovvero, appunto, la “percezione”.

Quello che li differenzia sono le “modalità” di “percezione”: i nostri cinque sensi, ci permettono di “percepire” determinate cose, in maniera del tutto fisica; se tocchiamo, vediamo, udiamo, odoriamo o assaporiamo, abbiamo a che fare con qualcosa di fisicamente esistente, che ne genera la possibilità di poterlo fare.

Mentre, “avere una sensazione”, non è una cosa relativa alla fisicità.

Definizione di “sensazione”: “Ogni stato di coscienza in quanto prodotto da uno stimolo esterno o interno al soggetto. L’avvertimento di un determinato stato fisico o psichico”.

Quindi, il “senso di colpa”, non è affatto un “senso”, perché non origina nessuna “percezione” fisica, e non è nemmeno una “sensazione”, perché traducendola nella sua reale essenza, potremmo dire di “avere la sensazione”, che qualcuno voglia farci “sentire in colpa”, ma non di “avere la sensazione” di “sentirci in colpa”, in quanto non ha assolutamente alcun “senso”, né logico, né letterale, inteso sia come “significato”, che come “percezione”, che anche come “direzione”, in quanto, non ci porta da nessuna parte.

In altre parole, la “sensazione”, può essere definita, come un “sesto senso”, variabile, perché riferito a cose diverse, e che opera con diverse modalità, e automaticamente, differente dagli altri cinque.

Naturalmente, l’”essere”, non ha niente a che vedere con tutto ciò, perché noi NON SIAMO, ciò che percepiamo, sia a livello fisico che a livello psichico.

E allora di cosa si tratta? Come già detto, solo di una manipolazione psicologica.

Quindi, ammessa la possibilità di “essere” stati, veramente noi la causa di un qualcosa, nel senso di avere “operato azioni”, che l’hanno provocata, se tramite una riflessione personale coscienziosa, realizzeremo di avere effettivamente commesso un errore, che ha danneggiato qualcun altro, porgeremo le nostre sentite scuse e cercheremo di porvi riparo.

Quindi, il processo da compiere è: riconoscimento → realizzazione → metabolizzazione → azione; il “senso di colpa” NON ESISTE e non dovrà mai comparire in questo processo.

Il discorso, è naturalmente valido, sia nei confronti degli altri, che in quelli di noi stessi, visto coscienziosamente, sia nei panni di “oppressi” che in quelli di “oppressori”. In conclusione, rapportiamo il tutto, analizzando la differenza tra “emozioni” e “sensazioni”, gestendo le “emozioni” e facendoci guidare, quando serve, dalle “sensazioni”, in quanto, come abbiamo visto, sono degli “stati di coscienza”, e una volta abbattuto il “muro”, daranno origine alle utilissime e geniali “intuizioni”.

L’autosuggestione

Il pensiero e il dialogo interiore, provocano emozioni.

Ci sarà sicuramente capitato, di ripensare a una situazione passata, e riprovare la stessa emozione di quando l’abbiamo vissuta.

Questo processo può essere “autoindotto” volontariamente, per cambiare un nostro stato d’animo, da negativo a positivo.

E questa, è un’ottima arma a nostra disposizione, anche se il cambiamento che opera è a tutti gli effetti provvisorio.

Dobbiamo però saperla utilizzare, perché possiamo anche autosuggestionarci, negativamente, ed è proprio ciò che accade, non solo richiamando pensieri negativi, ma continuando a confermare le nostre convinzioni, attraverso il nostro dialogo interiore.

In pratica, dobbiamo realizzare, che il cambiamento, può sempre avvenire, in “meglio”, o in “peggio”, ed è scontato concludere, che la nostra concentrazione, deve essere rivolta a un cambiamento in “meglio”.

E per fare questo, occorre, non solo farsi guidare dalla coscienza, ma farlo tutte le volte, che si rivela necessario, sapendo che tutte le volte che non lo faremo, automaticamente, ci staremo rivolgendo verso il peggio.

Allora, occorre agire attraverso quell’unica cosa, che ci può garantire, la continuità e la costanza, ma solo se a nostra volta la sapremo praticare con altrettante virtù.

La disciplina

E’ chiaro che, al fine di operare un cambiamento, che migliori la nostra vita, occorre agire con DISCIPLINA, ovvero, come abbiamo già visto, sapere cosa fare, sapere come farlo, quando, perché, e FARLO, anche quando non ne sentiamo la voglia.

Se ci riflettiamo bene, è indispensabile.

A poco servirà, dopo aver letto questo libro, riporlo nel cassetto, e proseguire come sempre.

Le persone rifiutano il “cambiamento”, ma sono attratte dal “miglioramento”; beh, sappiate che non potrà esserci “miglioramento”, senza un precedente cambiamento. Prima si cambia, e poi si migliora.

Diciamocelo francamente, sappiamo tutti molto bene cosa fare per migliorare la nostra vita e come farlo, ma “aspettiamo” sempre “tempi migliori”; un ragionamento condotto, in maniera totalmente “astratta”, impercettibile e intangibile, senza nessuna base logica, e totalmente privo di consapevolezza.

E’ a tutti gli effetti un “sabotaggio della coscienza”, e quindi di noi stessi.

Ci AUTOSABOTIAMO; quindi, operiamo, un sabotaggio di noi stessi, GUIDANDONE il processo; e questo è riconducibile al concetto già trattato dell’AUTOLESIONISMO.

Solo cambiando per primi noi stessi, potremo, di naturale conseguenza, cambiare tutto il resto.

La vera “rivoluzione”, è quella della COSCIENZA, che porterà, col tempo, a cambiare, e quindi migliorare, ogni componente della società e quindi la società stessa. Non possiamo più, a questo punto, non capire, come tutti siamo parte del TUTTO, e come ogni nostra azione o pensiero, possa decidere il DESTINO, della nostra VITA e DI QUELLA DI ALTRI.

Quindi, dobbiamo sempre porre molta attenzione, a ciò che pensiamo, e a ciò che facciamo, e ciò avviene senza sforzo alcuno, proprio quando ciò che ci GUIDANO, sono una VOLONTA’ ben DISCIPLINATA e la COSCIENZA.

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